venerdì 30 aprile 2010

Tao Te King

Ognuno nel mondo decide il Bello
Ed ecco venire il Brutto
Ognuno nel mondo decide il Bene
Ed ecco venire il Male

Avere e non avere nascono l'uno dall'altro
Compatto e sottile si formano l'uno dall'altro
Lungo e corto si misurano uno con l'altro
Alto e basso si girano uno verso l'altro
Prima e poi si seguono l'un l'altro


Trenta raggi si congiungono ad un mozzo unico
Questo vuoto nel carro permette l'uso

Con una zolla d'argilla si dà forma ad un vaso
Questo vuoto nel vaso permette l'uso

Si dispongono le porte e le finestre per una stanza
Questo vuoto nella stanza permette l'uso

L'avere permette il vantaggio
Il non avere permette l'uso


(Lao Tseu)

venerdì 23 aprile 2010

Tutto esiste, niente esiste

Tutto esiste e nulla esiste: come fatto in sé, come proiezione del nostro pensiero, come somma delle nostre supposizioni e credenze.
Crediamo solida e ferma la materia? Essa è in realtà un flusso di energia,  composizione di quanti energetici e di vuoti; il nostro corpo, sulla base dei cui sensi stabiliamo il giudizio sugli altri corpi, è in continuo mutamento, è reale nell’attimo che passa, ma non lo è nel passato o nell’avvenire, né è uguale a se stesso minuto dopo minuto.
Bisogna allora affidarsi al pensiero: concentrazione e meditazione conducono allo sviluppo delle sue facoltà corrette. Agendo sui propri pensieri, vivendo un susseguirsi di azioni pure, si arriva alla perfezione dell’intimo, ma non ancora alla soluzione. Le azioni pure, ad esempio, possono creare una morale altrettanto dannosa del vizio, qualora essa diventi regola.
Occorre perciò superare continuamente se stessi nella perfezione spirituale di volta in volta raggiunta, e non legarsi a nulla di tutto ciò che è transitorio, e tutto è transitorio.
Questa è una via per giungere alla verità, la verità che è salvezza.
Dico 'una' perché la codificazione della Via non esiste, se ne conosce solo l’avvio, ognuno poi deve proseguire da solo, perché l’esperienza degli altri è inutile.
(Buddha)

martedì 20 aprile 2010

Il significato del Buddhismo

L’apparizione del Buddhismo costituisce una tappa fondamentale nell’evoluzione dello spirito umano, non tanto per il contenuto specifico della sua dottrina, il Dharma, quanto per il fatto che attraverso il messaggio del Buddha, l’esigenza della Liberazione (la mukti o il moksa della tradizione pan-indiana), viene per la prima volta definito nei termini di un pensiero logico e razionale e non di una rivelazione di genere mistico.
Trascurando le ispirazioni divine che in precedenti epoche avevano additato all’uomo la via per l’interiore resurrezione, il Buddhismo adatta alle esigenze di un pensiero puramente logico ed umano la più grande avventura dello spirito, consistente nell’emancipazione dell’uomo dalla permanenza nel ciclo delle ripetute esistenze terrestri, il samsara, ognuna delle quali condizionata dal ‘frutto’ delle azioni compiute nell’esistenza precedente, la cosidetta Legge del Karma.
Secondo questa, in una ruota senza fine, l’uomo comune migra di esistenza in esistenza con il viatico delle conseguenze delle azioni compiute precedentemente che determinano le fattezze della vita da compiere e lo scenario in cui questa si svolgerà; vita e scenario di per sé illusori, in quanto condizionati dalle trascorse brame, volizioni, pensieri ed azioni dell’individuo, che a sua volta torna ad identificarsi nelle medesime passioni, paure e ripugnanze, che determineranno la direzione della vita presente e, in ultima analisi, il genere della nascita futura, finché la Liberazione (o Illuminazione) non intervenga a spezzare questa catena esistenziale fatta di dolore e di ignoranza.
Lungo il cammino della Liberazione, che il Buddhismo chiamerà la ‘Via Mediana’, perché egualmente distante dalle esagerazioni dell’ascetismo fanatico come da quelle di una vita volta alla ricerca del solo piacere, l’uomo si libera gradualmente dall’illusione (maya) circa la realtà del mondo e circa la sua personalità contingente: quello gli apparirà come una successione di accadimenti, l’un dall’altro determinati, e non di solide realtà, questa gli si rivelerà come un fascio di percezioni, sensazioni, volizioni e impulsi, cui egli attribuisce erratamente il carattere dell’ “io sono” quale supporto di una vita cosciente di relazione, che in realtà si manifesta come quel divenire doloroso e affannoso, fatto realmente di nulla, di cui è tessuta la perpetua vicenda del nascere-vivere-morire-rinascere, che gli Indiani denominano samsara, il perpetuo scorrere.
Beninteso, questa razionalità del Buddhismo e della sua ascesi non si esaurisce nella formulazione discorsiva di connessioni logiche e di principi etici, bensì considera quelle e questi alla stregua di meri supporti per un’esperienza identificativa con la realtà della realtà, esperienza che finisce per attuarsi come ‘estinzione’, nirvana, dell’illusione esistenziale.
Tali infatti furono le parole del Buddha dopo che ebbe spiegato ai suoi primi discepoli quale strada avesse perscorso per arrivare all’Illuminazione:”Sappiate, o monaci, che tutto quanto vi ho detto è per voi totalmente inutile, giacché non ha senso seguire la strada di un altro, ognuno deve trovare la propria. Non credete ciecamente alle mie parole, ma provate e sperimentate voi stessi sulla vostra vita ciò che funziona per voi”. E alla domanda diretta di un monaco:”Ma Dio esiste o no?” il Buddha rispose:”Che importanza ha?”
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martedì 13 aprile 2010

Ragione e irrazionalità tra Oriente e Occidente.

L’irrazionalità in Occidente origina dall’antica Grecia, dove àlogon significò in primo luogo ‘privo di discorso (logos), ovvero contrario al calcolo e all’aspettativa, inverosimile. Infine in Plutarco, oltre che in Platone e Aristotele, il vocabolo viene a denotare ciò che è privo di ragione e di fondamento, la demenzialità e l’assurdo, che in latino significherà il disarmonico e il privo di gusto.
In matematica si denomino àlogon il rapporto tra due grandezze incommensurabili, con una misura comune che non si può esprimere con un numero intero o frazionario, ma soltanto con una serie infinita di frazioni. La scoperta del numero irrazionale fu considerata il disastro della teoria pitagorica, basata sul numero come espressione del vero.
Quanto a logos, parola e ragione, provenendo da léghein, raccogliere, denota ciò che è raccolto e riunito insieme, quindi il discorso coerente, la parola sensata, l’origine, l’indagine.
Nel mondo antico la parola assume il massimo dei significati con Filone: designa il programma della creazione universale, il supremo dei poteri divini, l’idea delle idee e infine l’intuizione intellettuale o contemplazione che se ne impadronisce e vi si identifica, ed è più elevata del pensiero stesso.
In latino logos si potrebbe tradurre comprehensio, che denota la presa e l’impossessamento.
L’àlogon diventa invece insania, ovvero follia., irragionevolezza, l’opposto di ratio che è originato dall’indoeuropeo reri, cioè ‘contare’, ‘numerare’, ma anche ‘riflettere’, ‘persuadere’, ‘dottrina’.

Mentre in Occidente la ragione origina quindi dall’atto del contare, in Oriente proviene dall’idea della stabilità. In Cina Ku, ‘ragione’, si scrive con un ideogramma che denota dieci bocche, vale a dire ciò che una pluralità significativa di persone trasmette. L’rrazionalità è invece indicata con ciò che non rientra nel costume di una comunità.
In genere nelle civiltà orientali l’opposizione di ragione e irrazionalità non ha il phatos che la contrassegna in Europa. Uno dei motivi è che la dicotomia occidentale si trasfonde, in oriente, in una triade.
Nel sistema castale indù il contrasto fra l’emozione scatenata ed energica del guerriero e la razionale quiete del bramino è mediato dalla convivenza con la casta dei mercanti e quella dei contadini. Furore e pacificità hanno ciascuno la propria sfera e ciascuno deve attenersi ad una dieta confacente, ad un’occupazione determinata, ad un rituale ed a un culto specifici e complementari fra loro.
Fra conoscente e conosciuto media il conoscere, fra soggetto e oggetto media l’unione, fra amante ed amato media l’amore.
Si può dire che fra ragione e irrazionalità media l’ispirazione.
Per lo scivaismo Siva riassume la triplicità, simboleggiata dal suo tridente, le cui punte sono l’essere, l’impulso e l’oscurità o anche i tre condotti sottili che innervano l’uomo connettendo coccige e testa. Il contrasto razionale-irrazionale si supera nell’empito, che può culminare nella follia.
Questo non deve far pensare che in India mancasse una logica rigorosa al pari dell’aristotelica. Essa fu enunciata nel Nyaya Sutra. Il sillogismo fu esposto nel quadro rettorico di cinque interrogazioni successive: dapprima si domanda quale sia la tesi, ottenendo in risposta l’enunciazione, quindi si chiede la ragione, l’esempio probante e la sua applicazione, per finire con la conclusione.
Su questa scorta i buddhisti argomenteranno: “ Le conoscenze non hanno un oggetto (enunciazione), infatti tale è la conoscenza in genere (ragione) quale la conoscenza che si ha nel sogno (esempio probante), per cui nello stato di veglia si ha lo stesso tipo di conoscenza (applicazione) e anche la conoscenza che si ha nello stato di veglia è priva di oggetto (conclusione)”.
La logica buddhista nega che di qualsiasi cosa si possa dire che esista o che non esista. Parrebbe nichilismo, ma in realtà esprime un atteggiamento equivalente, perché da un determinato punto di vista afferma che un oggetto è, ma nella misura in cui sta in un contesto, non è, e le due preposizioni si conciliano, sicché esso è e non è allo stesso tempo; d’altro canto può essere indeterminato e indescrivibile, sicché esiste e tuttavia è indescrivibile o non esiste affatto ed è anche indescrivibile o infine, per distinti aspetti, è e non è indescrivibile.
Pertanto si afferma che tutte le cose sono vuote eppure appaiono nel tempo e si percepiscono; l’opposizione si concilia fondento i due opposti. L’irrazionale è ciò che non rientra in questa composizione e resta ancorato al desiderio.
La realtà è movimento, la causalità la fa ritenere statica, ma i successivi scatti della causazione non sono retti da nulla e li separa un intervallo infinitesimo. Tutto è momentaneo, ogni durata è una sequenza di punti, non esiste né spazio né moto, soltanto un seguito di punti istantanei, per i quali è irragionevole postulare un ricettacolo spazio-temporale.
Il grande studioso del buddhismo F.T. Stcherbatsjij (1930-1995) notò che la logica buddhista precedette la concezione della fisica moderna. La percezione istantanea è ineffabile e non è percettibile, ma rende possibili le nostre percezioni.

Elémire Zolla

venerdì 9 aprile 2010

Sátántangó

Erano schiavi e lo saranno per il resto della loro vita.
Siedono in cucina e ogni tanto guardano fuori dalla finestra.
Siedono sulle stesse logore sedie.
Si rimpinzano senza sapere cosa succede.
Si guardano l'un l'altro con sospetto... e aspettano.
Perché credono di essere stati ingannati.
Perché non possono vivere senza illusioni.
Non amano la libertà.
Ne hanno paura.

László Krasznahorkai

mercoledì 7 aprile 2010

L'arte contemporanea è Arte?

Per godersi un'opera d'arte non occorre essere intenditori, basta avere una mente aperta.
L'arte è come il cibo, nessuno dice "non me ne intendo" quando va al ristorante. L'arte è il cibo dell'anima e della mente: dopotutto si mangia anche per piacere, non solo per sopravvivere.
Bisogna gustare l'arte come un piatto di pasta, senza pensarci troppo, criticando quella scotta e apprezzando quella al dente. Sì perché anche l'arte può essere scotta o al dente: ci sono artisti che si dimenticano le proprie idee sul fuoco e altri che hanno troppa fretta e servono in tavola prima del tempo. Dipende comunque dai gusti: si possono godere quadri stracotti o sculture crude.
L'arte contemporanea è quella più fresca, per gustarla bisogna essere pronti a dei sapori nuovi, come quando si viaggia all'estero e si sperimentano piatti sconosciuti.
L'arte contemporanea può provocare forti emozioni, ma anche molta rabbia: siate pronti e tenetevi forte. Il mio tentativo non è quello di vendervi una bufala, ma di provare a spiegarvi che la bufala in questione non è la fregatura, ma la mozzarella, quindi molto saporita e così fresca da dover essere consumata subito, prima che vada a male...
Non intendo impartire lezioni di storia dell'arte, ma raccontare la storia di come anche il più recidivo degli ignoranti non possa fare davvero a meno dell'arte.
L'arte è il sangue nelle vene della storia del mondo. Non esistono società senza arte e se ci fossero morirebbero dissanguate. C'è andata vicino la Cambogia del dittatore Pot Pot, che alla metà degli anni Settanta provò ad immaginare un Paese senz'arte, ma fallì miseramente, lasciando un fiume di violenza e sangue, con montagne di teschi che oggi sono fonte di ispirazione per raffigurare artisticamente i mali del mondo.
Da che esiste, l'arte non è stata infatti usata solo per descrivere gli aspetti esteriori e più piacevoli dell'esistenza, ma anche e soprattutto per raccontare la realtà intera, nel bene e nel male. E' servita alla religione, alla politica, all'amore, alla psicanalisi, alla violenza, per dar forma a idee, follie, sogni e realtà che senza di essa non avrebbero potuto trovare espressione.
Vi invito a guardare all'arte contemporanea, se credete, non come a un esercizio per pochi specialisti, ma come a un'espressione necessaria della realtà del mondo che ci circonda e del tentativo di comprenderla.
Chi odia l'arte contemporanea rimpiangendo le opere del passato, rifiuta di accettare il fatto che i capolavori che tanto ama hanno rappresentato anch'essi il presente per la propria epoca. Rimpiangere il passato vuol dire negare l'oggi e rinunciare al futuro. Significa rinunciare a godere, anche nelle sue forme più strane e magari brutte, l'energia che sospinge, e sempre ha sospinto, ogni società.
L'arte contemporanea siamo noi, così come ci vediamo nello specchio del presente.
Per questo non può esistere un metro di giudizio assoluto.
La storia dell'arte contemporanea è un po' come nel film Rashomon di Kurosawa, dove ognuno dei protagonisti racconta la stessa storia in modo diverso.
Anche nell'arte la 'verità' non esiste.
Ci sono però dei divulgatori che utilizzano un metodo ben preciso, dicendo allo spettatore o al lettore: io so tutto di arte, tu non sai nulla, ma non ti preoccupare ti parlerò dell'arte in modo tale che non dovrai nemmeno fare la fatica di ricordarti cosa ti dico. Di solito questo tipo di narratori usa molte date, nomi di luoghi o persone, ad affascinare non è ciò che raccontano, ma la mole di conoscenze di cui dispongono. La tecnica è quella dei predicatori religiosi, che facendoci sentire inadeguati nei confronti di Dio, diventano ai nostri occhi gli unici capaci di procurarci un contatto col padreterno.
Io ho un'idea più luterana dell'arte, ossia penso che ad essa ci si debba accostare da soli, se veramente ci interessa.
L'arte non è una divinità, ma qualcosa di molto, molto umano.


'Lo potevo fare anch'io' Franceso Bonami