mercoledì 30 giugno 2010

Teoria dell' armonia

“Noi navighiamo in un infinito mare, sempre incerti e instabili, sballottati da un capo all’altro. Qualunque scoglio a cui pensiamo di attaccarci e restar saldi vien meno e ci abbandona e, se l’inseguiamo, sguscia alla nostra presa, ci scivola di mano e fugge in una fuga eterna. Per noi nulla si ferma. Questa è la nostra naturale condizione che tuttavia è la più contraria alla nostra inclinazione: desideriamo ardentemente trovare un assetto stabile e una base ultima per edificarvi una torre che si elevi all’infinito, ma ogni nostro fondamento si squarcia e la terra si apre in abissi.” (Pascal)

"Venire al mondo è come essere gettati, è una caduta dell’essere che si tuffa nel tempo. E mentre cadiamo dovremmo ricordarci che gli appigli cui ci aggrappiamo stanno cadendo anch'essi con noi" (Heidegger)

Nel momento in cui abbiamo rinunciato all'Unità e ci siamo voluti soggetti, abbiamo distrutto la nostra armonia con l'Universo, e qualsiasi idea di stabilità nel Tempo
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martedì 29 giugno 2010

Esiste l' amore?

Ami quella persona perché ti piace?
Il suo aspetto fisico potrebbe peggiorare a causa di una malattia o di un incidente... continuerai ad amarla? E se sì, perché?
Per il suo carattere per la sua personalità? Le persone cambiano, nulla è più instabile del pensiero umano... ma allora continuerai ad amarla? E se sì, perché?
Per il suo "io" più profondo? Da tremila anni l'insegnamento del Buddha storico ci illumina sull'insussistenza dell' "io", e da qualche centinaio d'anni anche il pensiero occidentale ha ammesso l'illusione del concetto dell' "io"... ma allora continuerai ad amarla? E se sì, perché?
Per la purezza della sua anima? Ma l'anima è uguale per tutti, é universale; allora perché quella persona piuttosto che quell'altra?
E' il modo in cui ti fa sentire quella persona e non quello che possiede che ti induce ad amarla?
Ma non ti accorgi che è solo una costruzione mentale che non ti appartiene? Siamo stati programmati fin nei più reconditi recessi della nostra coscienza affinché provassimo determinati sentimenti di fronte a determinate situazioni, ci hanno addirittura insegnato quello che dobbiamo desiderare e come dobbiamo manifestarlo!
Ami quella persona perché ti dona delle emozioni che nessun altro ti da? Tanto vale che firmiate un contratto: "Io sono disposto ad amarti fintantoché tu mi darai quello di cui ho bisogno".

In realtà l'amore in sè esiste, esiste eccome... siamo noi esseri umani che siamo troppo egoisti per amare davvero...

giovedì 24 giugno 2010

Solo un altro sassetto

La settimana scorsa un condannato a morte è stato fucilato negli USA.
Ma nel rituale c'è qualcosa che non riguarda soltanto quell'esecuzione, qualcosa di più profondamente contradditorio e diffuso: cinque cecchini, volontari anonimi, devono sparare un colpo a testa, ognuno ha un fucile con un proiettile in canna, ma dei cinque fucili ce n'è uno, non identificato, che è caricato a salve. A chi spara è garantito perciò il beneficio del dubbio che il proprio colpo non sia stato quello mortale.
Ci si domanda: se si sceglie volontariamente di sparare, dev'esserci a monte una forte convinzione, allora perché mantenere l'anonimato e soprattutto perché lasciarsi un margine di spazio interno per assolversi all'occorrenza?
Non è questione di USA, è pieno il mondo di gente così, da sempre, in compagnia, si prende la mira e si lanciano sassi contro Maddalena, senza poter distinguere quale è stato decisivo. "In fondo il mio era solo un altro sassetto". Quando l'istinto della canaglia è passato, l'essere umano, che con la canaglia convive, si rassicura.
E quante Maddalene esistono, colpite solo perché hanno qualcosa di diverso che fa rabbia o gola?
Si usano giudizi, inganni, si mente, si ruba, si sottrae a danno di una persona, una società, uno stato... minimizzando la propria responsabilità: "in fondo il mio era solo un sassetto"

(G. Carcasi)

martedì 15 giugno 2010

No tuti i mati xe in manicomio

Il bello è che ognuno di noi, di solito, avendo un alto concetto della propria rispettabilità, concorda circa la verità di questo proverbio (esulando momentaneamente dal fatto che i manicomi non ci sono più) pensando che si riferisca agli altri, e mai a se stesso...

[proverbio veneziano]

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mercoledì 9 giugno 2010

La nausea

L'intellettuale parigino Antoine Roquentin si trasferisce a Bouville, piccolo centro di provincia, per completare un libro di storia. Ma qui improvvisamente la sua percezione della realtà comincia a cambiare: gli oggetti che lo circondano gli danno un senso di nausea, il lavoro lo deprime, la vita cittadina gli appare squallida e insensata.
Prende allora ad annotare in un diario tutti i suoi stati d'animo, mentre la nausea si fa sempre più forte. Annotate le sue ricerche, Antoine sta per cedere  definitivamente, quando si accorge che ascoltando della musica il grave malessere che lo travaglia scompare d'incanto. Si rende conto allora che forse solo "creando" per via artistica (e nel suo caso, letteraria) si può riuscire a giustificare la propria esistenza di fronte a se stessi e al mondo.

Scritto nel 1938, La nausea è considerato il romanzo-manifesto dell'esistenzialismo francese: narrazione filosofica per eccellenza, nutrita delle ricerche e degli studi che Sartre andava parallelamente compiendo (da Heidegger a Jasper a Husserl), racconta la gestazione di una vocazione letteraria che ha tutto l'aspetto dell'ultima spiaggia concessa all'individuo per acquistare un senso del sé che non sia del tutto fallimentare. La letteratura può costituire una pur precaria forma di salvezza, ma resta minaccioso e oscuro il Moloch enorme, sordo e cieco della vita reale, che insorge insieme alla frattura originaria dell'esistere, e che riverbera sul destino di ognuno l'ombra di un incolmabile e decisivo difetto d'essere.

"L’uomo è condannato ad essere libero: 'condannato' perché non si è creato da se stesso, e pur tuttavia 'libero', perché, una volta gettato nel mondo, è responsabile di tutto ciò che fa."

Jean-Paul Sartre (1905-1980)

martedì 1 giugno 2010

Induismo

A differenza del cristianesimo o dell’islamismo, l’induismo non riconosce un Dio trascendente dal quale emanano leggi e comandamenti a cui attenersi, nell’induismo l’esperienza religiosa è l’esperienza personale del divino, dell’Universale, dello Spirito che si incarna nello spirito individuale.
La Via della realizzazione o dell’illuminazione consiste quindi nel riconoscere attraverso l’esperienza mistica che l’anima individuale (Atman) è essenzialmente un’emanazione dell’anima universale (Brahman).
Nell’induismo non esiste il concetto di creazione iniziale, ma la creazione è in continuo divenire, l’Universo è la danza di Brahman che ballando crea la realtà.
Il popoloso e complicato pantheon indù è, con le dovute e importanti differenze culturali, formalmente analogo a quello della Grecia classica. Ma mentre per i Greci gli dei rappresentano i detentori di un potere da cui è possibile ottenere protezione, nell’induismo essi rappresentano dei tramiti che consentono di accostarsi all’esperienza del divino. La personificazione della divinità serve, da un lato, a evocare la potenza che la divinità stessa incarna e dall’altro a propiziarsi l’esperienza necessaria attraverso i sacrifici e le pratiche rituali.
Krishna è l’incarnazione del divino che assume sembianze terrene scegliendo le proprie reincarnazioni nei momenti di oscurità delle vicende umane. Nel rivelarsi, Krishna riferisce a se stesso l’esperienza religiosa attraverso la quale riconoscere, realizzare e celebrare il divino che è in noi e liberarci così dal ciclo doloroso delle morti e delle rinascite in cui ogni esistenza è condizionata dalle azioni compiute nelle vite precedenti.
Il concetto di karma è  centrale nella visione induista e merita qualche parola di approfondimento. Molto spesso in Occidente si tende ad assimilare il significato di karma a quello di destino. In realtà il karma non ha niente a che vedere con la predestinazione: il significato letterale del termine è ‘azione’ ma, ancora una volta, questo significa ben poco per un occidentale che non ha nel suo dizionario, come nella sua cultura, alcuna parola che esprima questo concetto.
Nella dottrina indù il karma è il risultato vivente, qui e ora, dell’insieme delle nostre azioni passate e presenti: una specie di testimonianza storica di tutte le nostre vite passate che si incorpora nel nostro attuale stato di esistenza. Più precisamente il karma è l’insieme delle azioni passate e presenti della nostra mente ed è, in queso senso, un filo che lega tutte le esistenze passate in una ‘coerenza’ spesso dolorosa. Spezzare questo ciclo equivale, in termini psicologici, a spezzare la coazione a ripetere e a liberarci dalla necessità di ricalcare gli stessi errori o gli stessi comportamenti che ci rendono infelici.
E’ importante sottolineare che se le nostre azioni precedenti condizionano il nostro presente, questo non significa che la nostra vita è già segnata e immodificabile, ma, al contrario, producendo un ‘buon’ karma nel presente possiamo modificare la nostra condizione futura.
La Via attraverso cui raggiungere questa dimensione non è necessariamente una tecnica di meditazione o la ricerca di un rituale più sofisticato o più elevato, ma è l’acquisizione di un punto centrale e profondo del nostro essere dal quale la visione del divino corrisponde a quell’armonia interiore che si manifesta nell’amore e nell’accettazione di tutto ciò che è presente. Sarà quindi questo amore che, manifestandosi nella nostra vita, produrrà karma positivo, quindi un ulteriore passo verso la liberazione.