lunedì 27 settembre 2010

L'illusione delle rappresentazioni della felicità

"C'è solo un errore innato, ed è quello di credere che siamo fatti per essere felici. Ci è innato perché crolla solo con la nostra stessa esistenza, e tutto il nostro essere è solo la sua parafrasi, il nostro corpo il suo monogramma. Noi siamo infatti solamente volontà di vita. Ma ciò che intendiamo con il concetto di felicità è la progressiva soddisfazione di tutti i nostri bisogni. Finché perseveriamo in questo errore innato, per giunta grazie a dogmi ottimistici che in esso ottengono conferma, il mondo ci appare pieno di contraddizioni. Poiché a ogni passo, grande o piccolo, sperimentiamo che la vita e il mondo non sono assolutamente fatti per un'esistenza felice".
La frivola caccia alla felicità è il primo dato di fatto, l'impossibilità fattuale di raggiungerla il secondo. Ostinati come siamo, la lotta per l'esistenza ci si presenta come una caccia alla felicità. Tutti gli esseri viventi vi partecipano, trascinati dal demone maligno della "volontà", cui importa soltanto che l'inseguimento continui possibilmente per sempre. SI tratta in realtà, come osserva Nietzsche, di una volontà senza scopo, e i presunti obiettivi di felicità sono solo "rappresentazioni", illusioni che la volontà ci suggerisce per non farci mai fermare.
Altrettanto illusorio è quando l'uomo si sente "maledettamente bene", o che creda di star vivendo i suoi rari momenti di "vera felicità", in linea di massima anche qui si tratta solo di "fame appagata".
Se continuiamo con l'osservazione del genere umano nel suo insieme, la faccenda si fa più complicata e acquista una certa aria di serietà, ma il tratto fondamentale rimane invariato. Anche qui la vita non si prospetta come un dono da godere, bensì un compito, un lavoro da svolgere. E quindi constatiamo, nel grande come nel piccolo, miseria generalizzata, fatiche incessanti, pressione costante, infinita lotta, attività forzata, con estremo sforzo di tutte le energie fisiche e mentali.
Milioni di individui, riuniti in popoli, si affannano per il benessere comune, ognuno per difendere il proprio, ma a migliaia cadono vittime in questa lotta. Ora una follia insensata, ora una politica contorta, li istigano alla guerra fra loro. Allora devono scorrere il sudore e il sangue, per affermare le idee dei singoli o espiare i loro errori. Il conflitto perciò non è padre di tutte le cose, ma piuttosto il vero volto della vita, una sorta di proseguimento della pace con mezzi più energici.
Ogni opera epica o drammatica può rappresentare sempre solo la ricerca affannosa, gli sforzi e le lotte per raggiungere la felicità, ma mai una felicità duratura e realizzata. Essa conduce i suoi eroi attraverso mille difficoltà e pericoli fino all'obiettivo, appena viene raggiunto, fa calare velocemente il sipario. Perché a quel punto non le resterebbe altro che mostrare che la splendida meta, nella quale l'eroe immaginava di trovare la felicità, aveva ingannato anche lui e che, dopo averla conquistata, le cose non gli andavano meglio di prima, o quantomeno, nella migliore delle ipotesi, la noia sopraggiungeva presto.

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