mercoledì 12 agosto 2015

La Teoria delle Finestre Rotte





 

Nel 1969, presso l'Università di Stanford (USA), il professor Philip Zimbardo condusse un esperimento di psicologia sociale.
Lasciò due auto abbandonate in strada, due automobili identiche, la stessa marca, modello e colore. Una l’ha lasciata nel Bronx, quindi una zona povera e conflittuale di New York; l'altra a Palo Alto, una zona ricca e tranquilla della California.
Due identiche auto abbandonate, due quartieri con popolazioni molto diverse e un team di specialisti in psicologia sociale a studiare il comportamento delle persone in ciascun sito.

L'automobile abbandonata nel Bronx ha cominciato ad essere smantellata, e in poche ore ha perso le ruote, il motore, gli specchi, la radio... Tutti i materiali che potevano essere utilizzati sono stati presi, e quelli non utilizzabili sono stati distrutti.
Dall’altra parte a Palo Alto, l'automobile abbandonata è rimasta intatta.

È luogo comune attribuire le cause del crimine alla povertà. Attribuzione nella quale si trovano d’accordo le ideologie più conservatrici.
Tuttavia, l'esperimento in questione non finì lì: i ricercatori decisero di rompere un vetro della vettura a Palo Alto in California. Il risultato fu che scoppiò lo stesso processo come nel Bronx di New York: furto, violenza e vandalismo ridussero il veicolo nello stesso stato di devastazione dell'auto nel Bronx.

Perché il vetro rotto in una macchina abbandonata in un quartiere presumibilmente sicuro è in grado di provocare un processo criminale?

Non è la povertà, ovviamente, ma qualcosa che ha a che fare con la psicologia, col comportamento umano e con le relazioni sociali.

Un vetro rotto in un'auto abbandonata trasmette un senso di deterioramento, di disinteresse, di noncuranza, sensazioni di rottura dei codici di convivenza, di assenza di norme e di regole.
Ogni nuovo attacco subito dall'auto ribadisce e moltiplica quell'idea, fino all'escalation di atti, sempre peggiori, incontrollabili, col risultato finale di una violenza irrazionale.

In esperimenti successivi James Wilson e George Kelling hanno sviluppato la cosiddetta teoria delle finestre rotte, con la stessa conclusione da un punto di vista sociologico, e cioè che la criminalità è più alta nelle aree dove l'incuria, il disordine e l'abuso sono più evidenti.


Se si rompe un vetro in una finestra di un edificio e non viene riparato, saranno presto rotti tutti gli altri. Se una comunità presenta segni di deterioramento e questo è qualcosa che sembra non interessare a nessuno, allora lì si genererà la criminalità.
Se sono tollerati piccoli reati come parcheggio in luogo vietato, superamento del limite di velocità o passare col semaforo rosso, se questi piccoli “difetti” non sono correttamente puniti, si svilupperanno “difetti maggiori” e un senso di impunità che porterà via via a crimini più gravi.

Se parchi e altri spazi pubblici sono gradualmente danneggiati e nessuno interviene, questi luoghi saranno abbandonati dalla maggior parte delle persone, e questi stessi saranno progressivamente occupati da delinquenti.

E questo vale anche nel privato, se ad esempio il capofamiglia lascia degradare progressivamente la sua casa, come la mancanza di tinteggiature alle pareti, la proliferazione di cattive abitudini alimentari, l'utilizzo di parolacce, la mancanza di rispetto tra i membri della famiglia, ecc. poi, gradualmente, cadranno anche la qualità dei rapporti interpersonali tra i membri della famiglia ed inizieranno a crearsi cattivi rapporti con la società in generale.

Questa teoria delle finestre rotte può essere utile a comprendere la degradazione della società e la mancanza di attaccamento ai valori universali, la mancanza di rispetto per l'altro e le autorità, la degenerazione della società e la corruzione a tutti i livelli.
La mancanza di istruzione e di formazione di una cultura sociale, generano un Paese con finestre rotte, con tante finestre rotte che nessuno sembra disposto a riparare.

Nel 1994, Rudolph Giuliani, sindaco di New York, basandosi sulla teoria delle finestre rotte, ha promosso una politica di tolleranza zero. La strategia era quella di creare comunità pulite ed ordinate, non permettendo violazioni alle leggi e agli standard della convivenza sociale e civile. Il risultato pratico è stato un enorme abbattimento di tutti i tassi di criminalità a New York City.

La frase “tolleranza zero” suona come una sorta di soluzione autoritaria e repressiva, ma il concetto in realtà è rivolto alla prevenzione e promozione di condizioni sociali di sicurezza. Non è questione di violenza ai trasgressori, né manifestazione di arroganza da parte della polizia.
Infatti, anche in materia di abuso di autorità, dovrebbe valere la tolleranza zero. Non è tolleranza zero nei confronti della persona che commette il reato, ma è tolleranza zero di fronte al reato stesso.


L’idea è di creare delle comunità pulite, ordinate, rispettose della legge e delle regole che sono alla base della convivenza umana in modo civile e socialmente accettabile. E tutto questo non è una chimera: bastano ordine, pulizia, e rispetto delle regole già esistenti.

È bene quindi tornare a leggere questa teoria e diffonderla.

 

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